C’era un famoso format TV che si chiamava “Caro Marziano” in cui si chiedeva di descrivere un tema specifico ad un alieno appena atterrato sul nostro pianeta. Se dovessimo chiederle di spiegare ad un marziano cosa sono le trenchless technologies, cosa risponderebbe?
Prima di tutto gli chiederei se sul suo pianeta esistono sottoservizi e come fanno a ripararli. Scherzi a parte, con il termine Trenchless Technology o no dig, indichiamo un insieme di tecnologie che servono per posare, risanare, riutilizzare le infrastrutture dei sottoservizi (es. rete gas, acqua, fogne, energia, telecomunicazione, teleriscaldamento…) senza eseguire o minimizzare il ricorso allo scavo a cielo aperto.
Sappiamo che stiamo vivendo forse il più importante e stimolante periodo di rivoluzione delle grandi infrastrutture verificatosi in Italia negli ultimi decenni. Qual è il principale valore aggiunto che il trenchless può portare e quale invece il principale elemento di sfida che affronta?
Le Tecnologie Trenchless sono sistemi e tecnologie che il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ha individuato e classificato come tecnologie a basso impatto ambientale ed è proprio questa la loro peculiarità. Oggi noi operiamo nell’ambito di un sistema europeo che ha come obiettivi transizione ecologica e competitività, quindi lo sforzo di ridurre gli impatti ambientali cercando di raggiungere i topics posti anche con l’agenda 2030 dell’ONU; le Tecnologie Trenchless rientrano pienamente in questo contesto. Da studi fatti a livello aziendale, universitario, ed in ultimo, anche da parte di IATT, risulta che queste soluzioni riducono del 70-80% gli impatti socio-ambientali rispetto agli scavi tradizionali. Altri approfondimenti condotti da centri di ricerca ci dicono che l’impiego delle Trenchless abbatte anche i consumi energetici; c’è quindi un risparmio nel consumo di prodotti derivanti dal petrolio del 56% rispetto agli scavi tradizionali. Queste sono le peculiarità principali, ma io aggiungerei una cosa veramente importante: studi prodotti da INAIL evidenziano come l’impiego di questi sistemi riduca fino al 70% l’incidentalità sui cantieri, perché non abbiamo personale sul fronte di scavo. Le macchine vengono utilizzate da remoto e quindi consentono al personale che opera di rimanere in piena sicurezza. Il vantaggio si declina non solo agli operatori di cantiere, quindi delle varie imprese, ma anche a chi si trova a transitare. Basti pensare al classico pedone, a chi cammina vicino a uno scavo tradizionale e inciampa nelle transenne o in una buca. In sostanza il no dig sposa pienamente gli obiettivi di riduzione sia degli impatti ambientali sia degli incidenti.
Ci sono delle resistenze, sotto questo punto di vista, nell’impiego di queste tecnologie, oppure stiamo arrivando a una maggiore apertura?
Parliamoci in modo molto trasparente: sì, ci sono ancora delle resistenze allo sviluppo di queste tecnologie. Le individueremo in due aspetti.
Il primo: purtroppo c’è ancora molta ignoranza, sull’impiego di questi sistemi. Consideriamo, poi, che l’uso delle Trenchless è visto da molti come un sistema che non produce ricchezza in settori specifici (es. movimento terra, pavimentazione manto stradale…) e quindi viene osteggiato da particolari gruppi di interesse.
C’è anche un problema su come vengono impostati, costruiti, alcuni bandi di gara, in cui queste tecnologie vengono indicate in maniera errata rispetto al tipo di utilizzo che in realtà viene richiesto. Perché? Il no dig nasce all’estero, ha una radice anglosassone. Non a caso il termine Trenchless Technology o no dig è quello che viene normalmente impiegato a livello internazionale.
Quindi, forse, c’è difficoltà nel capire queste soluzioni quando parliamo, ad esempio, di, horizontal directional drill, relining, microtunnelling; insomma, tutti termini che nella realtà italiana possono creare delle incomprensioni. C’è ignoranza, nel senso che si ignora la conoscenza di queste tecnologie in maniera approfondita e ci si limita a una prima lettura, creando così delle difficoltà interpretative all’interno dei bandi. Ed è per questo che IATT organizza da sempre eventi e convegni. Qui è disponibile anche un libro a cui abbiamo lavorato proprio per un intento divulgativo: con l’impiego di schede raccontiamo nel dettaglio le varie tecnologie, associando ad ogni termine anglosassone il suo corrispettivo in italiano, e i vari sistemi utilizzati in Italia, anche perché nel mondo esistono molte applicazioni differenti. Ci siamo limitati, quindi, a quelle che oggi sono presenti sul nostro mercato. Con questa pubblicazione cerchiamo di colmare il gap culturale che ancora riscontriamo.
Il secondo aspetto che, come dicevamo prima, limita ancora l’impiego di queste tecnologie è che non dovendo scavare, ma facendo una perforazione in sotterranea, o un intervento di risanamento, non c’è movimentazione di materiale che dalla città va verso la discarica e non c’è movimentazione di materiale che dalle cave vengono in città, riempiendo quello scavo realizzato con la trincea tradizionale. Non ci sono, inoltre, interventi importanti sui ripristini stradali, perché si realizzano tipicamente solo delle buche o addirittura, in alcuni casi, si utilizzano i pozzetti esistenti per risanare, ad esempio, una rete idrica e fognaria.. È chiaro che questo è visto da molti come un sistema che non produce ricchezza in determinati settori e quindi viene osteggiato da particolari lobby che, invece, hanno interesse a mantenere vive attività come quelle a cui accennavo poco fa.
Nonostante ciò stiamo registrando negli ultimi anni un incremento dell’impiego di queste soluzioni che si può attestare intorno a un 30% anno di crescita, il che non è poco. Gestori di reti come Snam, per esempio, stanno puntando tanto a questi sistemi perché gli consente di realizzare la rete infrastrutturale in tempi più veloci e con un bassissimo impatto ambientale, quindi in un modo molto competitivo rispetto agli eventuali scavi tradizionali. Allo stesso modo il Servizio idrico integrato sta facendo grande ricorso al no dig, perché purtroppo dobbiamo ancora registrare in Italia una perdita media sulle reti idriche del 42%. L’impiego di questi sistemi consente di intervenire in quelle aree della città, soprattutto nei centri urbani, dove diventa difficile operare con gli scavi tradizionali e dove le reti sono più vecchie. E quindi possiamo vantare un ricorso sempre maggiore a interventi di risanamento di reti idriche e fognarie con Trenchless Technologies.
C’è un cantiere che ti è più caro o uno degli interventi che ricordi con maggior interesse o che magari ti ha portato ad avvicinarti a questo mondo? Qual è stato il tuo primissimo cantiere?
Mi sono avvicinato a questo mondo attraverso l’azienda dove ho iniziato, la Telecom. Questa società, insieme a Snam, è stata tra le prime in Italia a introdurre queste tecnologie per lo sviluppo, nel nostro caso, delle reti in fibra ottica. Il primo cantiere che ho affrontato è stato l’attraversamento del Porto Canale Garibaldi, dove abbiamo eseguito una trivellazione orizzontale controllata sotto il canale in ambito urbano,. Questo è stato in assoluto il mio primo lavoro ed è stato bello vedere con i miei occhi la riduzione dell’impatto ambientale, l’incremento della sicurezza sul posto di lavoro e anche la valutazione degli aspetti economici. In quel caso, realizzare l’attraversamento di 300 metri, passando a 15 metri di profondità sotto il canale stesso con le Tecnologie Trenchless ci ha consentito di fare un impianto evitando di realizzare quattro chilometri di scavo tradizionale.